Mobbing …
Forse è necessario discutere ancora del tema. Se avete, come spero, letto il mio articolo sul Mobbing saprete già l’origine della parola e le sue sfaccettuature ma ritengo che questo non basti.
Chiunque di noi ha un’amico, parente, conoscente che negli ultimi tempi dice che nella sua azienda “gli fanno mobbing” e questo implica che molte di quelle persone entrino nel mio ufficio chiedendo maggiori informazioni sul tema.

Ciò che cerco di spiegare nei primi minuti di conversazione, prima di comprendere i fatti che hanno generato questa convinzione, è che purtroppo il fenomeno pur chiaro nelle decine di siti internet che ne parlono (anche il mio no!!) non è nella realtà giuridica ancora definito.
Questo implica un NON irrilevante conseguenza: il lavoratore che deposita un atto contenente una richiesta risarcitoria per mobbing parte in una posizione di svantaggio.

Perchè qualcuno si chiederà!!

Dalla lettura attenta del mio precedente post si evince come siano poste in capo al lavoratore tutta una serie di prove (di oggettiva difficoltà di reperimento) che portano erroneamente a dedurre che non vi sia un vero e proprio fondo di verità.
Non voglio per questo scoraggiare chiunque a parlare di mobbing, voglio solo affermare che si tratta di un cammino in salita che spesso qualcuno ritiene di affrontare nel corso del rapporto di lavoro (senza attenderne la cessazione).

Più che quindi dal punto di vista degli elementi oggettivi da dedurre a suffragio delle affermazioni del lavoratore che si accomoda sulla sedia del mio ufficio, il post di oggi vuole affrontare il più difficile tema della causa per mobbing da un punto di vista psicologico.

Qualcuno legittimamente potrà affermare che non sono una psicologa (nulla di più vero) tuttavia l’esperienza in casi come questi ha raddrizzato “le antenne” anche di un avvocato.

Presto detto cosa intendo con psicologia della causa di mobbing.

Per compredere le difficoltà oggettive di una simile vertenza è opportuno che evidenzi i passaggi preliminari all’incontro con la controparte il giorno della prima udienza.

Il primo step che va compiuto è quello di un racconto analitico (magari trascritto in una relazione) all’avvocato (quindi a me) di tutti i fatti che hanno scatenato le manifestazioni vessatorie.
Nel secondo step il bravo avvocato (sempre io) dovrà chiedere al cliente il supporto con documentazione cartacea, video, audio e testimoniale delle affermazioni contenute nella relazione. Se quindi il primo step aveva suscitato nel cliente sentimenti di fastidio è evidente che rileggere i fatti attraverso la documentazione fornita in un secondo momento potrebbe creare scompensi psicologici.

Ed è in questo momento che in molti casi si manifestano i primi dubbi sull’opportunità di proseguire; ripercorrere le tappe di avvenimenti (molto spesso) dolorosi genera una sorta di rifiuto a “parlarne ancora”.


Ecco che in questa fase può essere necessario fermarsi, prendere fiato qualche giorno, per poi ripartire
.

Ai clienti che sono seguiti da propri specialisti consiglio sempre di fare una seduta rigenerativa per trovare le forze.

Terzo step. Mentre rielaboro tutti i dati forniti, eventualmente chiedendo ulteriori delucidazioni, il cliente dovrà recarsi dal medico legale che redigerà una propria perizia (che certifichi il mobbing) da allegare al ricorso.
Ancora una volta il cliente dovrà raccontare tutti i fatti, in una chiave meno oggettiva e quindi più intima.

Di certo non sarà una passeggiata per la sua stabilità psichica!

Al termine della stesura dell’atto e subito prima del deposito e di conseguenza con l’imminente conoscibilità dei fatti al datore di lavoro, convoco sempre il cliente per spiegare cosa avverrà ora (nel quarto step).
Lo avviso che nel momento il datore di lavoro depositerà le proprie difese (che gi invierò) dalle quale potrebbe trovare delle argomentazioni in contrastro con il suo sentire.
Non solo.
Lo avviso inoltre che la difficoltà più grande sarà quella di sentire i testimoni di entrambe le parti.

E i testimoni non faranno altro che ripercorre per l’ennesima volta tutti i fatti avvenuti.

Solitamente questa è la parte che il cliente accetta meno, perchè non riesce a comprendere come lo stesso fatto possa essere descritto in modi (a volte) così diversi tra loro.

Ma non è ancora finita!!!!
Quinto step. Se il giudice riterrà fondate le vessazioni chiederà l’ausilio di un consulente medico legale per valutare l’entità del risarcimento dovuto. E il povero cliente si ritroverà di nuovo a spiegare tutti i gli accadimenti.

Ma tutto questo per dire cosa: una causa di mobbing non è UNA PASSEGGIATA per nessuno ed in particolare per colui che ritiene di aver subito vessazioni; la ripezione più e più volte degli avvenimento è spesso fonte di ulteriore stress psicologico che costringe il cliente ad far visita ad uno psicologo del lavoro durante tutto l’arco temporale della causa.

Non intendo oggi affermare che non sia importante far valere i propri diritti … vorrei solo evidenziare l’importanza di una corretta informazione sulle varie fasi della procedura.

Nella speranza di non aver demoralizzato chi ha intenzione di ALZARE LA VOCE ricordo


Se il mobbing è opprimente lascia che il tuo avvocato ti indichi la via per liberartene brillantemente!

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